Contatti Iscriviti alla Newsletter
Chiudi
Studio Coppola & Partners
Studio Coppola & Partners

Tassazione del lavoro dipendente estero: la residenza fiscale

Il trattamento fiscale delle retribuzioni percepite dai lavoratori dipendenti per le attività svolte al di fuori del territorio nazionale è strettamente collegato al concetto di residenza fiscale.

La qualificazione di un soggetto quale residente o meno nello Stato determina, infatti,

l’applicazione di un differente meccanismo di tassazione dei redditi allo stesso riferibili: mondiale per i residenti (world wide taxation principle); territoriale per i non residenti (source-based taxation principle).

Nell’ottica internazionale i principi generali che indichiamo di seguito devono poi essere comparati con le singole convenzioni eventualmente applicabili.

L’articolo 2 del TUIR ai fini delle imposte sui redditi definisce residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta:

sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;

hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 43, comma 1, del Codice civile (sede principale di affari e interessi);

Il lavoratore dipendente può trovarsi a svolgere la propria prestazione all’estero a vario titolo: semplici trasferte più o meno lunghe, trasferimenti presso sedi estere, distacchi o vere e proprie assunzioni all’estero presso controllate. Ma come deve avvenire la tassazione del reddito in tali casi? Lo approfondiamo in questo contributo.

hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del Codice civile (dimora abituale).

Il domicilio inteso come sede principale di “affari e interessi” attiene alla generalità dei rapporti del soggetto, e quindi anche gli interessi di carattere familiare, sociale e morale.

La permanenza del domicilio di una persona deve essere desunta da tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, provino la presenza del suo centro di interessi sul territorio dello Stato.

Le condizioni sopra indicate (iscrizione all’anagrafe, domicilio e residenza) sono tra loro alternative e non concorrenti; pertanto il verificarsi di una sola di esse è sufficiente affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.

Il Ministero delle Finanze ha chiarito nella Circolare 2 dicembre 1997, n. 340/E (paragrafo 1) che deve “considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga, nel senso sopra illustrato, il ‘centro’ dei propri interessi familiari e sociali in Italia”.

Modalità di tassazione dei soggetti residenti e non residenti

L’articolo 3 del TUIR stabilisce che:

i soggetti residenti in base al comma 2 dell’articolo 2 del TUIR sono tassati su base mondiale (cosiddetto principio delworldwide income) ovvero sui redditi ovunque prodotti.

In applicazione di tale principio, un soggetto identificato come residente è assoggettato ad imposizione diretta in Italia per tutti i redditi ovunque prodotti e allo stesso riferibili;

i soggetti non residenti sono tassati su base territoriale (cosiddetto principio della fonte)

ovvero solo sui redditi prodotti nel territorio dello Stato.

In applicazione di tale principio, un soggetto identificato come non residente è assoggettato ad imposizione diretta in Italia solo per i redditi che produce in Italia.

Questo principio applicato al reddito di lavoro dipendente prestato all’estero comporta in generale che:

il lavoratore residente che svolge la prestazione all’estero sarà assoggettato a tassazione definitiva in Italia anche per il reddito di lavoro dipendente prodotto all’estero con possibile recupero delle imposte subìte all’estero;

il lavoratore non residente che svolge la prestazione all’estero non sarà assoggettato a tassazione in Italia per il reddito prodotto all’estero;

e che il lavoratore non residente che svolge la prestazione nel territorio dello Stato sarà assoggettato a tassazione in Italia solo per il reddito di “lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 50”.

Base imponibile del reddito di lavoro dipendente svolto all’estero

Per i soggetti che ai sensi dell’articolo 2 continuano ad essere qualificati come residenti fiscalmente in Italia, in deroga alle disposizioni ordinarie contenute nei commi da 1 a 8 dell’articolo 51 del TUIR, è previsto, a determinate condizioni, un particolare meccanismo forfetario.

Il comma 8-bis del citato articolo prevede, infatti, che se il lavoro dipendente è svolto all’estero:

in via continuativa; come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro; durante un soggiorno superiore a 183 giorni, il reddito non è determinato analiticamente ma sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

Tali retribuzioni convenzionali sono fissate in misura non inferiore al trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali dei vari settori di produzione.

Pertanto, al momento della tassazione in Italia del reddito per l’attività lavorativa svolta all’estero, non si tiene conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore poiché tutto ciò che è corrisposto al lavoratore è assorbito dalla determinazione forfetaria individuata dal predetto decreto annuale.

La retribuzione convenzionale è comprensiva anche degli eventuali elementi aggiuntivi della retribuzione, quali i fringe benefit, che vengono inseriti nel pacchetto retributivo del lavoratore inviato all’estero.

Il reddito dei lavoratori dipendenti che:

prestano il loro lavoro all’estero in via continuativa ed esclusiva;

soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi;

viene determinato facendo riferimento a delle retribuzioni convenzionali determinate ogni anno da un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.

I soggetti che adempiono agli obblighi contributivi sui redditi di lavoro dipendente prestato all’estero, operano comunque le ritenute stabilite dall’articolo 23 del D.P.R. n. 600/1973.

Tale disciplina è applicabile solo se si verificano contemporaneamente tutti i seguenti presupposti:

1. si tratti di una persona fisica residente in Italia;

2. si tratti di una persona fisica che intrattenga un rapporto di lavoro dipendente;

3. che il lavoro sia prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto.

In merito all’esclusività del rapporto, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che tale requisito si realizza quando lo specifico contratto di lavoro preveda che la prestazione dell’attività lavorativa sia svolta integralmente all’estero.

Per quanto riguarda l’esclusività, il contratto (o l’accordo integrativo, nel caso di lavoratore già assunto in precedenza da distaccare all’estero) deve espressamente prevedere lo svolgimento in via esclusiva della prestazione di lavoro all’estero.

A tal fine il datore di lavoro deve tenere un ruolo estero in cui riportare i dipendenti espatriati, o comunque eseguire delle annotazioni nel libro unico regolarmente vidimato.

Con la medesima Risoluzione n. 8/1171/1980 è stato precisato che: “a titolo di garanzia, l’impresa dovrà annotare nel libro matricola e nel libro paga la data di interruzione delle prestazioni lavorative in Italia e registrare su corrispondenti scritture intestate come “ruolo estero”, gli estremi di identificazione del dipendente lo Stato estero nel quale dovrà prestare servizio, l’ammontare delle prestazioni periodiche ed infine la data di cessazione del rapporto”.

La Circolare 26 febbraio 1999, n. 53/E in merito a tale requisito ha sottolineato che la prestazione di lavoro all’estero “deve costituire l’unica ed esclusiva mansione affidata al dipendente e non deve configurarsi come accessoria o strumentale rispetto allo svolgimento delle normali mansioni svolte in Italia.”.

Il concetto di continuità è invece riferito al fatto che l’incarico deve essere stabile ovvero permanente e, comunque, non di tipo occasionale;

4. che il dipendente nell’arco di dodici mesi soggiorni all’estero per un periodo superiore a 183 giorni.

Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza all’este l’Amministrazione Finanziaria ha precisato che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo, essendo sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183 nell’arco di dodici mesi.

Con l’espressione “nell’arco di dodici mesi” il legislatore “non ha inteso far riferimento al periodo di imposta, ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari ” (Circolare ministeriale 16 novembre 2000 n. 207).

Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria, l’espressione utilizzata dal legislatore lascia intendere che i 183 giorni all’estero possono realizzarsi anche a cavallo di due periodi di imposta e non necessariamente nel medesimo esercizio dovendosi fare riferimento alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico contratto di lavoro.

Né è necessario che tali giorni siano consecutivi.

Inoltre, nel computo dei 183 giorni, rientrano i giorni di ferie, festività, riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi (come, per esempio, quelli di sciopero) indipendentemente da dove sono effettivamente trascorsi.

Pertanto, se un dipendente viene assunto con un contratto esclusivo estero, che prevede una permanenza all’estero per più di 183 giorni, il sostituto di imposta applicherà la tassazione su base convenzionale a partire dalla prima retribuzione erogata, salvo rettifica da effettuare in sede di conguaglio, qualora vengano meno le condizioni richieste per l’applicazione del regime di favore.

Si sottolinea come l’applicazione dell’articolo 51, comma 8-bis del TUIR può avvenire sia in presenza di un datore di lavoro italiano ovvero di datore di lavoro non residente (Circolare ministeriale n. 207/2000).

Dal dettato del comma 8-bis deriva che, sotto il profilo soggeettsivcolu,si sono dall’agevolazione in esame:

i pubblici dipendenti, espressamente esclusi dall’applicazione della norma in esame, ai sensi dell’articolo 5 del D.L. 31 luglio 1987 n. 317, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 ottobre 1987 n. 398;

i lavoratori stranieri che prestano la loro attività di lavoro dipendente in Italia, anche se acquistano la residenza in Italia, poiché in questo caso è di tutta evidenza che manca il presupposto dell’attività svolta all’estero;

i soggetti che svolgono attività lavorativa in settori per i quali il decreto non ha definito la retribuzione convenzionale.

La ratio della disposizione, del resto, sembra essere ispirata ad un favor nei confronti del dipendente che affronta i disagi di un trasferimento all’estero per motivi di lavoro.

Potrebbe interessarti anche il nostro approfondimento sul distacco transnazionale dei dipendenti >

Le norme convenzionali e la tassazione del reddito di lavoro dipendente

La normativa illustrata deve essere coordinata con le regole previste nei trattati internazionali. In generale con riferimento ai redditi di lavoro dipendente, l’Italia nella maggior parte dei Trattati stipulati ha adottato l’articolo 15 del Modello OCSE.

L’articolo 15 della Convenzione-modello OCSE prevede che:

“1. Salve le disposizioni degli articoli 16, 18, 19, 20 e 21, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato.

Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.

Per chiarire meglio, i redditi derivanti da prestazioni di lavoro dipendente svolte da un soggetto residente in uno Stato all’interno del medesimo Stato possono essere soggette a tassazione solo in detto Stato.

Esempio 1

Un cittadino italiano, fiscalmente residente in Francia dove produce redditi di lavoro dipendente, può essere tassato per il relativo reddito solo in Francia (Paese di residenza).

Qualora l’attività venga svolta in un altro Stato, il relativo reddito può essere tassato anche in detto altro Stato (l’eventuale doppia tassazione è attenuata con il meccanismo del credito d’imposta).

Esempio 2

Un cittadino italiano, fiscalmente residente in Italia, che produce redditi di lavoro dipendente in Francia, può essere tassato per il relativo reddito, oltre che in Italia (Stato di residenza), anche in Francia (Stato dove svolge la prestazione).

In deroga al punto precedente, il reddito derivante da una prestazione svolta in uno Stato diverso da quello di residenza fiscale si tassa solo nello Stato di residenza se:

1. il beneficiario soggiorna nel Paese estero per un periodo minore ai 183 giorni;

2. la remunerazione è pagata da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nello Stato in cui si svolge la prestazione;

3. l’onere della remunerazione non è sostenuto da una stabile organizzazione del datore di lavoro nell’altro Stato.

L’articolo 15 della Convenzione-modello OCSE prosegue e dispone che:

“Nonostante le disposizioni del paragrafo 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato sono imponibili soltanto nel primo Stato se:

1. 2. 3.

il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato, e

le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato, e

l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato”.

Esempio 3

Un cittadino italiano, fiscalmente residente in Italia, che svolge attività di lavoro dipendente in Francia, ove soggiorna meno di 183 giorni, per conto di un datore di lavoro italiano che non ha una stabile organizzazione in Francia, è tassato solo in Italia.

In base alle disposizioni convenzionali, pertanto, la possibilità di tassare i non residenti anche nello Stato in cui svolgono la prestazione è subordinata alla duplice circostanza che il prestatore soggiorni nello Stato estero per un periodo sufficientemente lungo (più di 183 giorni) e che il datore di lavoro sia ivi residente o vi abbia una stabile organizzazione.

< Torna alla homepage