Sostiene l’INPS che le aziende che hanno provveduto a partire dal 2015 a versare il ticket NASpI potrebbero ricevere una richiesta di ricalcolo per aver versato meno del necessario a causa di una errata interpretazione della norma.
Quanto detto potrebbe comportare notevoli disagi per le aziende, oltre che un aggravio di costi. Come noto, l’INPS ha fornito istruzioni riguardanti la gestione del ticket licenziamento di cui all’articolo 2, comma 31, della Legge n. 92/2012, fornendo istruzioni specifiche sulla rideterminazione del contributo medesimo.
Tale argomento è stato analizzato anche da parte della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro con l’Approfondimento del 27 settembre 2021, che ha analizzato il quadro di riferimento precedente al documento di prassi, aggiungendo specifiche osservazioni riguardanti la questione in esame.
La definizione dell’importo del ticket licenziamento
Come noto, la determinazione dell’importo riguardante il ticket di licenziamento è definita all’interno dell’articolo 2, comma 31 della Legge n. 92/2012, il quale stabilisce che il contributo è pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Tale importo quindi è strettamente collegato all’anzianità aziendaledel lavoratore, ma è indipendente dall’importo della prestazione individuale, con la conseguenza che esso è dovuto in misura identica a prescindere dalla tipologia di lavoro, che sia part-time o full-time, ma sarà uguale per tutti i soggetti che hanno la medesima anzianità di servizio.
Il cambio di rotta nel calcolo del contributo di licenziamento
Il calcolo del ticket licenziamento aveva in passato come riferimento il Messaggio n. 4441 del 30 giugno 2015, seguito in seguito dal Messaggio n. 594 dell’8 febbraio 2018.
A seguito però delle disposizioni introdotte con la Circolare INPS n. 40 del 19 marzo 2020 si è andato a stabilire che il contributo – pari al 41% del massimale mensile della NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni – bisognava calcolarlo seguendo una nuova modalità, ossia non tenendo conto del massimale di retribuzione riferito alla prima fascia di importo della NASpI, bensì tenendo conto del massimale di indennità, con un conseguente aumento dell’importo da corrispondere da parte dei datori di lavoro che procedono a licenziamenti individuali oppure collettivi.
Le ultime disposizioni dell’INPS
La più recente Circolare n. 137/2021 ha però fatto emergere come – a seguito di controlli – la modalità di calcolo del contributo NASpI nel corso degli anni non è sempre stata conforme al disposto di cui all’articolo 2, comma 31, della Legge n. 92/2012, con la conseguenza che, prendendo in considerazione base di calcolo e rata del contributo, quanto da corrispondere a titolo di ticket licenziamento è stato difforme rispetto a quanto effettivamente dovuto.
Come sottolineato anche da parte della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro con l’Approfondimento del 27 settembre 2021, si ha una correlazione tra versamenti in minor misura da parte delle aziende a partire dal 2015 e le indicazioni contenute nei Messaggi n. 4441/2015 e n. 594/2018, almeno fino al mese di febbraio 2020.
Solamente la Circolare n. 40/2020 ha infatti correttamente fatto riferimento al massimale anziché alla retribuzione imponibile, con la conseguenza che i recuperi dovrebbero tenere conto oltre che dei termini prescrizionali anche della distorsione interpretativa introdotta dal medesimo Istituto con la discordanza contenuta nei precedenti Messaggi rispetto alla Circolare n. 40/2020.
L’opinione della Fondazione Studi sul recupero dei versamenti difformi
A conclusione dell’analisi dell’argomento, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sottolinea che sarebbe ragionevole – oltre che auspicabile – ritenere che tali conguagli da regolarizzazione indicati all’interno della Circolare n. 137/2021 vengano richiesti senza l’applicazione di interessi o sanzioni civili e attraverso modalità operative che non impongano ulteriori adempimenti in termini di invio di flussi Uniemens regolarizzativi.
La questione atterrebbe infatti a una doverosa presa d’atto da parte dell’INPS, anche in considerazione del fatto che tali differenze di importi – soprattutto con riferimento ai casi di licenziamento collettivo – potrebbero comportare la corresponsione di valori certamente molto rilevanti.