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L’indebita compensazione attrae pure i contributi previdenziali ed assistenziali

La Cassazione torna ad esprimersi sull’indebita compensazione e sulla configurabilità del reato nell’ipotesi in cui la compensazione coinvolga non solo le imposte sui redditi o sul valore aggiunto

ma anche i contributi previdenziali e assistenziali. Molte le sentenze anche di parere opposto, ma quali le conclusioni?

La Cassazione sul reato di indebita compensazione 

Con la sentenza n. 27992 dell’8 ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha confermato che, ai fini

della configurabilità del reato previsto dall’art. 10-quater D.lgs. n. 74 del 2000 (indebita compensazione), assume rilievo anche il mancato pagamento di somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, in quanto il delitto attrae anche i casi di debiti di natura diversa (cd. compensazione orizzontale).

Per la Corte la compensazione ricomprende sia quella c.d. verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, sia quella c.d. orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, anche non afferenti alle imposte dirette o all’Iva (cfr. Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020, Rv. 279118; Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018, dep. 2019, Rv. 275015; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Rv. 275833, e Sez. 3, n. 42462 dell’11/11/2010, Rv. 248754).

Sull’argomento puoi leggere:“L’indebita compensazione non comprende i contributi previdenziali?”

Contributi previdenziali e assistenziali sì o no: i diversi pareri della Cassazione Ora:

“non ignora il Collegio che esiste anche una pronuncia di segno contrario, ovvero la sentenza

Sez. 1, n. 38042 del 10/05/2019, Rv. 278825, con cui è stato affermato il principio secondo cui, in tema di reati tributari, la condotta di omesso versamento di cui all’art. 10 quater del d.lgs. n. 74 del 2000 concerne esclusivamente le somme dovute a titolo di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, coerentemente con la sua collocazione all’interno di un testo normativo concernente i soli reati attinenti dette imposte e con la speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario, disciplinata dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, in termini incompatibili con obblighi di natura diversa.

In definitiva, l’indebito risultato della condotta fraudolenta, ossia l’omesso versamento delle somme dovute, riguarderebbe solamente le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non già,

in assenza di pertinenti specificazioni, inadempimenti di altro genere, dei quali l’intero testo normativo non si occupa”.

Orbene, questa diversa impostazione non appare condivisibile, atteso che l’essenza della condotta:

“non è rappresentata dall’omogeneità o eterogeneità delle imposte compensate, dal rispetto del limite temporale della detraibilità del credito o dall’utilizzo o meno del modello F24, ma dal ricorso a un istituto applicato nonostante l’assenza di un valido titolo, per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell’operazione realizzata; in tal senso è evidente che il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, stante il richiamo operato dall’art. 10 quater del d.lgs. n. 74 del 2000, all’art. 17 del d.lgs. 241 del 1997, si configura sia in caso di c.d. compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, sia in caso di c.d. compensazione verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, in quanto il delitto si concretizza in ogni caso in una condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione fondata su un credito inesistente o non spettante.

Del resto, l’art. 17 del d. Igs. n. 241 del 1997 prevede che i contribuenti che devono eseguire versamenti unificati di imposte, di contributi previdenziali e assistenziali, di premi Inail e di altre

somme a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e di altri enti, possono utilizzare in compensazione i crediti risultanti dalle dichiarazioni fiscali o dalle denunce periodiche contributive, per cui una restrizione dell’ampio ambito operativo della norma non appare giustificata”.

A ciò deve aggiungersi che, come già rilevato nella richiamata sentenza Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020, non risulta altresì decisivo, nella tesi contraria, il riferimento alla causa di non punibilità del pagamento del debito tributario ex art. 13, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, che, parificando le tre fattispecie di cui agli art. 10 bis, 10 ter e 10 quater, confermerebbe che quella contemplata dalla norma di cui all’art. 10 quater, come le altre due, punirebbe sempre e solo l’omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto:

“ed invero il citato art. 13 si limita semplicemente a prevedere che non sono più perseguibili penalmente gli omessi versamenti di ritenute dovute o certificate (art. 10 bis), gli omessi versamenti dell’Iva (art. 10 ter) e l’indebita compensazione di crediti non spettanti (art. 10 quater comma 1), quando il contribuente versi integralmente le somme dovute all’Erario, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi maturati, prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado, norma questa dal chiaro intento premiale che non appare idonea a circoscrivere l’ambito di operatività del reato di indebita compensazione”.

Dalla «parificazione» delle tre fattispecie incriminatrici operata dal comma 1 dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 non discende tuttavia la conseguenza che l’art. 10 quater punirebbe l’indebita compensazione delle imposte dirette e non anche l’indebita compensazione con debiti previdenziali o Inail.

“La «parificazione» risiede invece, molto più semplicemente, nel fatto che, per gli omessi versamenti e per l’indebita compensazione, il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito tributario, a differenza di quanto invece previsto dal comma 2 dell’art. 13 citato per i reati dichiarativi, per il quale, ai fini della non punibilità, è necessaria la spontaneità della resipiscenza del contribuente”.

In definitiva, l’art. 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997 ha solo allargato le ipotesi di compensazione già previste dalle norme tributarie, senza prevedere che l’istituto possa trovare applicazione solo relativamente a tributi della stessa specie o di specie diversa.

Brevi note

Come abbiamo visto la questione posta all’attenzione degli Ermellini non è nuova.

Di recente, la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13149 del 28 aprile 2020[1], ha ancora esteso il reato di indebita compensazione di cui all’articolo 10-quater, del D.Lgs.n.74/2000, anche alle compensazioni c.d. “verticali”, cioè relativi ai debiti di natura omogenea e quindi anche previdenziali, in quanto, anch’essi, se compensati con crediti insistenti, determinano un illegittimo risparmio di imposta.

Per la Corte è errato ritenere che la collocazione della norma nell’ambito della disciplina di tutela penale delle imposte dirette ed IVA indurrebbe a ritenere che il fatto rilevante in sede di versamento unificato sia solo quella concernente la compensazione di somme dovute a titolo di imposte dirette ed Iva.

“Non può infatti ritenersi del tutto corretta l’affermazione secondo cui il reato sarebbe integrato solo nel caso di compensazione “orizzontale”, ossia relativa a crediti e debiti relativi ad imposte

e contributi diversi, con la conseguenza che il debito estinto mediante compensazione dovrebbe avere natura fiscale ed afferire alle imposte dirette o IVA, con esclusione dunque delle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e non versate in quanto compensate con crediti inesistenti”[2].

Il Collegio, dopo aver indicato analiticamente i tributi, contributi, premi e le altre entrate, nonché

i relativi interessi e sanzioni, compensabili – articoli 17 e 28 del D.Lgs.n.241/1997 – ha richiamato propri precedenti, secondo cui:

“l’essenza della condotta non è rappresentata dall’utilizzo o meno del modello F24, dall’omogeneità o eterogeneità delle imposte compensate o dal rispetto del limite temporale della detraibilità del credito, ma dal ricorso a un istituto applicato nonostante l’assenza di un valido titolo, per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell’operazione realizzata.

Ed è indubbio che il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in combinato disposto con l’art. 17 del d.lgs. 241 del 1997, si configura sia in caso di c.d. compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, sia in caso di c.d. compensazione verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, in quanto si concretizza in una condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione fondata su un credito inesistente o non spettante”[3].

Ricordiamo che la questione in esame era stata già posta al vaglio della Corte Costituzionale

che, con la sentenza n. 35 del 21 febbraio 2018, dopo aver legittimato la sussistenza di diverse

soglie di punibilità per i reati di indebita compensazione, nella formulazione anteriore alle modifiche operate nel 2015, atteso che non è irragionevole da parte del legislatore prevedere

un trattamento differenziato, ha confermato, altresì, l’avviso della giurisprudenza d Cassazione[4], secondo cui la norma si presta a reprimere l’omesso versamento di somme

attinenti a tutti i debiti – sia tributari, sia di altra natura – ancorché la disposizione risulti inserita in un testo normativo – il D.Lgs. n. 74 del 2000 – che, come emerge anche dal suo titolo, è posto per il resto a presidio unicamente delle imposte dirette e dell’IVA.

Dello stesso autore puoi leggere:

“Indebita compensazione: la prova risiede nell’F24” “L’adesione negata dall’indebita compensazione”

***

NOTE

[1] L’allargamento del perimetro d’azione del reato di indebita compensazione ha trovato ulteriore conferma nella pronuncia n. 14763 del 13 maggio 2020, che ha sdoppiato i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 dal reato di cui all’articolo 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000.

“Mentre nelle ipotesi di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del d.lgs. 74/2000 la condotta incriminata risulta priva di connotati di insidiosità, in quanto l’omesso versamento delle somme dovute è prontamente riscontrabile dall’amministrazione finanziaria mediante la consultazione dei documenti fiscalmente rilevanti, lo stesso non può dirsi per l’ipotesi disciplinata dall’art. 10 quater. In tale fattispecie la condotta esprime una componente decettiva o di frode ossia un

quid pluris che vale a differenziare il reato di cui all’art. 10 quater dalle fattispecie di mero omesso versamento cosicché il disvalore di azione consiste nella redazione di un «documento ideologicamente falso», mediante l’abusivo utilizzo dell’istituto della compensazione in materia tributaria disciplinato dall’art. 17 del d.lgs. 241/1997”, per imposte sui redditi o sul valore aggiunto con le somme a credito per le medesime imposte e anche con i contributi dovuti all’INPS e con le altre somme dovute allo Stato, alle regioni e agli enti previdenziali.

“Ne consegue che la soglia di rilevanza penale, come modificata dal d.lgs. 158/2015, non va riferita alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non versate per effetto della indebita compensazione, bensì all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione: ciò si ricava, ad avviso del Collegio, dalla ratio e dallo scopo della fattispecie, volta a tutelare l’interesse erariale alla riscossione dei tributi sanzionando le condotte di indebito utilizzo di crediti non spettanti o inesistenti, nell’ambito delle quali, quindi, il disvalore della condotta è individuato nella dimensione della compensazione indebita, alla quale è pertanto correlata la soglia di punibilità”.

[2] Nel caso di specie, dall’esame del modello F24 presentato emergeva che, nel contesto di indebita compensazione per un debito complessivo di importo pari alla somma fino alla cui concorrenza era stato disposto il sequestro, quantomeno la somma di € 20.722,37, riguardava debiti previdenziali o verso INAIL, per cui secondo i giudici del riesame, detratta tale somma dall’importo complessivo, si verserebbe in una ipotesi di irrilevanza penale, in quanto l’importo sarebbe sotto la soglia di punibilità introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015, con conseguente annullamento del decreto di sequestro.

[3] Sez. 3, n. 5934/2018; Sez. 3, n. 8689/2018; Sez. 3, n. 42462/2010.

[4] Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 21 gennaio-4 febbraio 2015, n. 5177;

sezione seconda penale, 20 maggio-16 settembre 2009, n. 35968.

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