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La mancata indicazione nelle fatture delle targhe degli automezzi impedisce la deduzione fiscale

La mancata indicazione, nelle relative fatture, delle targhe degli automezzi cui si riferiscono gli acquisti effettuati e le spese sostenute, impedisce la deducibilità dei costi sostenuti dall’azienda (nel caso di specie, una società di autotrasporti), nel caso di specie, per l’acquisto di pneumatici e spese per manutenzione e riparazione di automezzi, poiché ritenuti privi del requisito della certezza ed inerenza.

In tal modo la Corte di cassazione che con l’ordinanza n. 27116 del 27 novembre 2020, ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate, che contestava appunto tale circostanza, non ritenuta, invece, lesiva degli interessi erariali da parte della Commissione tributaria regionale che aveva, momentaneamente, accolto il gravame della Società (Snc), in attesa del verdetto finale, poi dato dal giudice supremo cin la presente decisione.

Le accuse mosse dall’Agenzia delle entrate

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia ha rilevato la violazione e falsa

applicazione degli artt. 109, co. 2 del TUIR e dell’art. 54 del D.P.R. n. 633/1972, e dell’art. 25 del D.lgs. n. 446/1997, per aver la sentenza impugnata escluso che, ai fini della deducibilità dei costi di acquisto di pneumatici e pezzi di ricambio e della dimostrazione della contestata sussistenza del requisito di inerenza, fosse necessaria l’indicazione nelle relative fatture del tipo e della targa dell’autoveicolo cui il bene acquistato si riferisce e, comunque, riconosciuto la deduzione anche in assenza della prova che i costi sostenuti si riferissero agli automezzi di proprietà della società

La decisione della Cassazione

Secondo la Suprema corte, il ricorso dell’Agenzia delle entrate contiene una chiara ed esauriente esposizione dei fatti di causa, comprensiva di tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto e di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo;

➢ nel merito, il motivo è fondato;

➢ la prova dell’inerenza di un costo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura

della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente, in quanto tenuto a provare l’imponibile maturato (cfr. Cass. 21 novembre 2019, n. 30366; Cass. 17 luglio 2018, n. 18904);

➢ pertanto, ove, come nel caso in esame, sia contestato dall’Amministrazione finanziaria il difetto di inerenza della spesa è onere del contribuente offrire la dimostrazione della correlazione del costo sostenuto con l’attività d’impresa in concreto esercitata, non assolvibile mediante la dimostrazione della avvenuta contabilizzazione dello stesso.

La massima Corte ha poi osservato che la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, in quanto ha posto a fondamento della sua valutazione elementi fattuali, attinenti alla certezza dei costi, privi di rilevanza ai fini della dimostrazione della loro destinazione allo svolgimento dell’attività di impresa;

In conclusione, la sentenza impugnata è stata, quindi, cassata e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.

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