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Studio Coppola & Partners
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Il rapporto tra credito Iva derivante da fatture false e confisca

L’articolo 12-bis D.Lgs. 74/2000, che stabilisce la confisca obbligatoria in relazione ai delitti previsti dal medesimo Decreto Legislativo, ha come presupposto costitutivo una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti.

La norma, al primo comma, definisce l’oggetto del provvedimento ablativo e riproduce la distinzione, già contenuta in numerose altre disposizioni, tra confisca obbligatoria diretta del prezzo o del profitto del reato – salvo che appartengano a persona estranea – e, nel caso in cui non sia possibile la confisca di proprietà, confisca per equivalente di cose corrispondenti al valore del prezzo o del profitto derivante dal reato.

Sulla nozione di profitto del reato la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha individuato nel tempo una serie di stabili principi: il profitto, per rilevare ai fini della confisca, deve essere accompagnato dal requisito della “pertinenzialità”, inteso nel senso che deve derivare in via immediata e diretta dal reato che lo presuppone (Cassazione, SS.UU., n. 38691/2005); in virtù del principio di causalità e dei requisiti di materialità e attualità, il profitto, per essere tipico, deve corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica, sicché non rappresenta profitto un qualsivoglia vantaggio futuro, immateriale o non ancora materializzato in termini strettamente economicopatrimoniali (Cassazione, n. 35490/2014); il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione del reato e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Cassazione, SS.UU., n. 18734/2013).

In questo quadro di riferimento la nozione di profitto funzionale alla confisca è stata estesa dalla giurisprudenza fino a comprendere al suo interno “non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa (…).

La trasformazione che il denaro, profitto del reato abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere per oggetto il bene di investimento così acquisito.

Infatti, il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca, (…) deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa” (Cassazione, SS.UU., n. 10651/2014).

Nell’ambito di tale ampia nozione di profitto del reato, che sostanzialmente coincide nei reati tributari con l’imposta evasa, appare assai significativa la precisazione contenuta nella recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26575/2021, secondo cui “(…) il profitto del reato confiscabile è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se l’imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente.

L’evasione di un’imposta, tuttavia, è dato indefettibile per poter affermare che un profitto illecito vi è stato, non essendo invece sufficiente che, a fronte di un credito Iva non spettante – maturato per l’indicazione nella dichiarazione di una fattura per operazioni inesistenti ed eventualmente fruibile in futuro – lo stesso non sia mai stato in concreto utilizzato per evitare il pagamento di imposte dovute”.

Pertanto, anche a prescindere da ogni considerazione sul fatto che siano intervenute forme di definizione del contenzioso fiscale senza che l’Erario abbia in concreto subito danni, se il credito d’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non è mai stato utilizzato in compensazione o chiesto a rimborso, non è in ogni caso possibile procedere alla confisca penale non sussistendo dal punto di vista logico e giuridico un profitto del reato.

D’altra parte, non appare superfluo sottolineare come la giurisprudenza di legittimità sia costante nel sostenere la necessaria sussistenza di tale profitto per giustificare la confisca, e dunque anche le presupposte misure cautelari reali, e ciò anche nel caso in cui sia intervenuto un proscioglimento per prescrizione che, pur estinguendo il reato, viene qualificato come ininfluente ai fini della cautela del profitto.

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