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È configurabile il concorso fra bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta

In caso di fallimento, l’impreditore fallito rischia sia il reato di bancarotta fraudolenta che quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (se ne ricorrono i presupposti)? Una recente sentenza di Cassazione analizza il rapporto fra i reati fallimentari e quelli tributari.

E’ configurabile il concorso tra la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e la bancarotta fraudolenta patrimoniale, poiché le norme incriminatrici configurano una ipotesi di specialità bilaterale, non regolando, altresì, la stessa materia, dato che la fattispecie fiscale sanziona condotte che pregiudicano la riscossione coattiva, mentre la fattispecie fallimentare tutela l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti.

Sono queste sostanzialmente le conclusioni raggiunte dalla Terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9380 del 9 marzo 2020.

Concorso fra bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta:

il fatto Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di riesame presentata congiuntamente da C.M. e C.S. nei confronti del decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, con cui, ritenendo sussistenti indizi della realizzazione dei reati di bancarotta fraudolenta e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, era stato disposto il sequestro diretto dei beni trasferiti da una S.r.l. ad altra società e anche per equivalente dei beni dei richiedenti, in relazione al reato di cui all’art.11, del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Avverso tale ordinanza gli indagati hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, contestando la sussistenza del presupposto per poter disporre la confisca per equivalente dei loro beni, presupposto che pacificamente è costituito dalla impossibilità di procedere al sequestro in via diretta del profitto del reato.

Ad avviso dei ricorrenti la circostanza che tale profitto (costituito dai beni oggetto delle distrazioni, compiute mediante la conclusione di negozi simulati a scopo fraudolento, idonei anche a sottrarli all’adempimento delle obbligazioni tributarie) sia già stato sottoposto a sequestro in relazione al reato di bancarotta fraudolenta non escluderebbe la possibilità di eseguire il sequestro in via diretta sui medesimi beni anche in relazione al reato tributario di sottrazione fraudolenta di cui all’art.11, del D.Lgs. n. 74 del 2000, sia perchè i beni oggetto delle distrazioni e delle sottrazioni fraudolente (compiute mediante atti negoziali ritenuti simulati) sarebbero i medesimi, dunque assoggettabili a sequestro diretto anche quale profitto del reato tributario; sia in considerazione del loro valore, che sarebbe sufficiente a soddisfare il credito tributario, unico credito privilegiato insinuato al passivo fallimentare (con la conseguente indebita duplicazione di garanzie); sia per la preferenza da accordare al sequestro disposto in relazione al reato tributario, preposto alla salvaguardia di interesse superiori (l’interesse pubblico al pagamento dei tributi) rispetto a quelli protetti dal reato di bancarotta (gli interessi del ceto creditorio).

Il pensiero della Corte

La Corte, innanzitutto, ribadisce “che è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto le relative disposizioni incriminatrici non regolano la stessa materia ai sensi dell’art. 15 c.p., stante la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), la natura delle fattispecie astratte (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare), la diversità del soggetto-autore degli illeciti (nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti) e dell’elemento soggettivo dei due reati (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda, v. Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, dep. 17/01/2012, Mazzieri, Rv. 253479; Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 266133; Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Fagioli, Rv. 270810)”.

Osserva la Corte che: “il sequestro preventivo dei beni oggetto delle distrazioni mediante le quali sarebbe stato commesso il delitto di bancarotta fraudolenta è stato disposto a fini impeditivi, allo scopo di evitare il compimento di ulteriori atti di disposizione e la loro dispersione, che pregiudicherebbero ulteriormente il soddisfacimento dei creditori sociali, ed è dunque destinato, in caso di condanna, a permanere in caso di confisca o a convertirsi in sequestro conservativo, secondo quanto previsto dall’art. 323 c.p.p., commi 3 e 4.

Tale sequestro determina, dunque, un vincolo di indisponibilità dei beni che a esso sono stati assoggettati, destinato a determinare un provvedimento ablatorio o un ulteriore vincolo (quello del pignoramento, strumentale alla espropriazione mediante esecuzione forzata), cosicchè esso preclude, a causa della sua esistenza, la possibilità di imporre sui medesimi beni un ulteriore vincolo strumentale allo loro confisca (il sequestro preventivo a fine di confisca diretta del profitto del reato di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11 cit.), giacchè tale ulteriore vincolo risulterebbe inutilmente apposto qualora dei beni venga disposta la confisca in relazione al reato di bancarotta o se il precedente sequestro preventivo sia mantenuto a fini conservativi, in quanto tali esiti impedirebbero al secondo sequestro, disposto in relazione al reato tributario, di esplicare l’effetto cui è preordinato, e cioè la confisca del profitto di tale reato”.

Di conseguenza: “è stata esclusa la possibilità di eseguire il sequestro in via diretta del profitto del reato (costituito, quanto al reato tributario, dalla riduzione, simulata o fraudolenta, del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consistente nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma”, poiché “il suddetto vincolo di indisponibilità impedisce di utilmente apporne un altro successivo, e quindi si versa in una ipotesi di impossibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato tributario.

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può, infatti, essere disposto nei confronti del legale rappresentate di una società quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessaria, ai fini dell’accertamento di tale impossibilità, l’inutile escussione del patrimonio sociale se già vi sono elementi sintomatici dell’inesistenza di beni in capo all’ente (v. Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 24/01/2019, Bennati, Rv. 275687), come avvenuto nel caso in esame, nel quale l’esistenza di un altro vincolo di indisponibilità è stata, correttamente, ritenuta come determinante l’impossibilità di eseguire il sequestro in via diretta”.

L’eventuale capienza dei beni di cui è stato disposto il sequestro in via diretta in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, o, comunque, la loro idoneità a soddisfare il debito tributario (privilegiato ex art. 2752 c.c.), non impedisce di disporre anche il sequestro per equivalente dei beni degli amministratori della società: “stante l’attuale indisponibilità dei beni costituenti il profitto del reato (derivante dalla apposizione del vincolo in relazione al reato di bancarotta) e la conseguente impossibilità di procedere in via diretta al sequestro del profitto del reato tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, agli stessi contestato.

L’eventuale futuro soddisfacimento, totale o parziale, del credito erariale, attraverso i beni oggetto di confisca diretta o sul ricavato dalla loro vendita, consentirà la riduzione o la revoca del sequestro per equivalente, non tanto per il venire meno del presupposto costituito dalla attuale impossibilità di procedere al sequestro diretto, quanto per il soddisfacimento del credito in relazione al quale esso è stato disposto”.

Breve nota sul concorso fra bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta

Le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento sono sostanzialmente conformi a quelle espresse dalla stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 3539 del 27 gennaio 2016. E’ configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art.11, del D.Lgs. n. 74/2000[1] e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, previsto dall’art. 216, comma 1, del R.D. n. 267 del 1942 (c.d. Legge fallimentare)[2], posto che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” ex art. 15 c.p., data la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale alla effettiva riscossione coattiva, la fattispecie tributaria, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, per il reato fallimentare), della diversa natura delle fattispecie astratte (reato di pericolo il delitto fiscale, reato di danno quello fallimentare) e dell’elemento soggettivo (dolo specifico per il reato tributario, generico per il reato fallimentare).

In pratica, il “salvo che il fatto costituisca più grave reato” – in virtù del quale il delitto fiscale, in caso di concorso, poteva considerarsi assorbito dal delitto penal-fallimentare – è stato soppresso ad opera del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modifiche in L. n. 122 del 30 luglio 2010, fermo restando che la clausola di riserva presupponeva, affinchè potesse operare l’esclusione del concorso reale, che la maggiore o minore gravità si riferisse a reati posti a tutela dello stesso bene giuridico, circostanza che non ricorre nel caso di specie[3].

La Cassazione, quindi, ha ormai acclarato da tempo che i due “fatti” illeciti a confronto non sono i medesimi, così che non trova applicazione l’originario incipit dell’art. 11, del D.Lgs. n. 74/2000, con conseguente assorbimento del meno grave reato fiscale in quello fallimentare.I due fatti – reato concorrono per le precise e individuate differenze riscontrate dai giudici, che hanno portato ad escludere l’identità della materia, applicandosi così entrambe le fattispecie delittuose. Infatti, diversa è la tutela in relazione al bene giuridico, diversa è la natura giuridica delle due fattispecie astratte, diverso è il tipo di dolo necessario, diversa è l’estensione della soggettività attiva.

E pertanto, il reato penal-fiscale assume carattere “specialissimo”, che ne preclude l’assorbimento in quello fallimentare, “meno speciale” sia sul piano oggettivo sia sul piano soggettivo”[4]. ***

NOTE

[1] Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000 – non oggetto di modifiche da parte del D.Lgs.n.158/2015, di riforma delle sanzioni, puniva, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645, alienava simulatamente o compieva altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.

Il D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 29.7.2010, ha così modificato la norma: “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Inoltre, nell’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, si aggiunge un secondo comma, che punisce, “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila.

Se l’ammontare di cui al periodo precedente e superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

[2] La legge fallimentare – art. 216 del R.D. n. 267 del 1942, rubricato “Bancarotta fraudolenta” -, al comma 1, punisce con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore che: 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La bancarotta fraudolenta per distrazione, ex art. 216, comma 1, n. 1), L.F. prevede la reclusione da tre a dieci anni.

[3] Cfr. circolare n.1/2018 della Guardia di Finanza, che richiama ex multis la pronuncia della Cassazione, Sez. II, n. 25363 del 15 maggio 2015.

[4] C.M.n.1/2018 della G.d.F.

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