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CRISI D’IMPRESA – Concordato con continuità aziendale: le novità del codice della crisi di impresa

L’articolo 186 bis L.F. disciplina il concordato con continuità aziendale, una particolare fattispecie di concordato che prevede la prosecuzione dell’attività di impresa o da parte dello stesso debitore o attraverso la cessione o il conferimento dell’azienda in esercizio, in una o più società, anche di nuova costituzione.

La citata disposizione si sofferma sui contenuti del piano, sulla necessità della previsione di una relazione di un professionista che attesti che la prosecuzione dell’attività è funzionale ad un miglior soddisfacimento dei creditori, sulla possibilità di previsione di una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di un titolo di prelazione, sulla prosecuzione dei contratti pendenti.

Con il nuovo codice della crisi di impresa, l’ipotesi della continuazione dell’attività d’ impresa è diventata centrale nell’ambito dell’istituto del concordato preventivo. Tale possibilità è infatti subito enunciata nel primo comma dell’articolo dedicato alla finalità del concordato preventivo, l’articolo 84 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

L’ipotesi della continuità aziendale è disciplinata nei commi 2 e 3 del citato articolo 84, relegando invece nell’ultimo comma l’ipotesi del concordato liquidatorio, per il quale sono previste nuove significative limitazioni che probabilmente ne renderanno più difficile l’accesso.

Le difficoltà di accesso al concordato liquidatorio derivano dalla necessità di ricorrere all’apporto di risorse esterne destinate ad incrementare di almeno il 10%, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari.

L’articolo 84 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza chiarisce che la continuità

aziendale può essere diretta, in capo all’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, quando la gestione dell’impresa o la ripresa dell’attività sia affidata ad un soggetto diverso dal debitore, purché siano integrati una serie di nuovi presupposti specificatamente individuati:

la gestione può avvenire attraverso un contratto di cessione, usufrutto e affitto di azienda, stipulato anche anteriormente alla presentazione della domanda, purché in funzione della presentazione del ricorso;

la gestione può avvenire attraverso un conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo; deve essere previsto dal contratto o dal titolo di mantenimento, la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti al deposito del ricorso, per un anno dall’omologazione.

Il comma 2 del richiamato articolo 84 precisa altresì che il piano deve espressamente prevedere che l’attività di impresa è funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori ì dell’imprenditore e dei soci.

Tale previsione non è di poco conto e va ben oltre l’attuale valutazione richiesta dall’articolo 186 bis L.F. al professionista incaricato, chiamato ad attestare che la prosecuzione dell’attività è funzionale ad un miglior soddisfacimento dei creditori.

Altra novità significativa relativa al concordato in continuità aziendale, prevista dal comma 3 del richiamato articolo 84, è la disposizione che stabilisce che i creditori devono essere soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta.

Tale criterio serve a porre un discrimine nei casi di proposte di concordato “misto”, quando cioè nel piano sia prevista sia la continuazione dell’attività di impresa, sia la liquidazione di alcuni beni facenti parte dell’attivo concordatario.

Con la Legge Fallimentare, il legislatore ha previsto che, accanto ad un piano che preveda la continuazione dell’attività di impresa, possa essere contemplata anche l’ipotesi in cui vi sia una liquidazione dei beni non funzionali all’attività e la prosecuzione dell’attività con parte del patrimonio non dismesso.

Si tratta, in questo caso, di un concordato in parte liquidatorio e in parte con continuità aziendale.

Per tali casi, è previsto che si applichi la disciplina dettata per il concordato con continuità, salvo il caso in cui la continuità sia pretestuosa con l’unico scopo di eludere il limite minimo del 20% di soddisfazione dei creditori di natura chirografaria, limite non previsto per il concordato in continuità aziendale.

 Con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il concordato può essere considerato con continuità aziendale quando, al di là della denominazione della proposta e della previsione di prosecuzione dell’attività, l’attivo concordatario disponibile a fronteggiare il fabbisogno finanziario sia prevalentemente riconducibile ai flussi derivanti dalla continuazione dell’attività di impresa.

La disposizione in analisi contiene altresì una presunzione assoluta: la prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità aziendale, per i primi due anni di attuazione del piano, derivano da un’attività di impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori in forza nei due esercizi antecedenti al momento del deposito del ricorso.

Il comma 3 del richiamato articolo 84, infine, prevede che nel concordato in continuità aziendale a ciascun creditore debba essere assicurata una utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile; tale utilità può essere rappresentata anche dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.

Si segnala inoltre che l’articolo 86 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza prevede la possibilità di una moratoria, nel concordato in continuità, per il pagamento dei creditori muniti di pegno, privilegio e ipoteca. Tale moratoria può raggiungere i due anni dall’omologazione, a meno che non sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

L’articolo 186 bis della Legge Fallimentare al comma secondo lett. c), prevede invece il limite massimo di un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di un diritto di prelazione.

Altra significativa differenza è rappresentata dall’attribuzione del diritto di voto, nel caso in cui sia prevista la suddetta moratoria: l’articolo 186 bis L.F. prevede che, in caso di moratoria nel pagamento nei limiti indicati, i crediti muniti di cause di prelazione non abbiano diritto di voto; l’articolo 86 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza prevede invece che, in caso di moratoria, i creditori coinvolti abbiano diritto al voto nel limite della differenza fra il loro credito, maggiorato degli interessi di legge, e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano, alla data di presentazione della domanda, sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso di cui all’articolo 5 D.Lgs. 231/2002, in vigore nel semestre di presentazione della domanda di concordato preventivo.

Sulla base di tale previsione, il creditore privilegiato vota per la parte del credito che, a causa della dilazione nel pagamento, subisce una svalutazione.

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