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Cessione di beni strumentali o cessione d’azienda? Le ipotesi di riqualificazione del contratto

Gli avvisi di liquidazione per la riqualificazione dell’operazione contrattuale in cessione d’azienda possono essere fondati dall’Ufficio finanziario sull’art. 20

Legge di registro? La riqualificazione degli atti di vendita di beni strumentali, posti in essere dalle parti, in “cessione di ramo di azienda” trova il suo fondamento nell’art. 20 T.U.R.? Il fisco può l’utilizzare i dati extratestuali ovvero sussiste la possibilità di valorizzare un eventuale collegamento funzionale tra più atti negoziali, per assoggettare a tassazione gli effetti giuridici finali in concreto conseguiti? Sono prova idonea, circa la sussistenza di un contratto di cessione d’azienda, le sole “fatture di vendita di beni” senza verificare la sussistenza di elementi di prova sufficienti a dimostrare la contestata cessione d’azienda? Il collegamento negoziale elusivo si contrasta ormai solo per mezzo dell’art. 10-bis L. n. 212/2000? Il nuovo articolo 20 del DPR 26 aprile 1986 n.131 ha effetto retroattivo? Cessione d’azienda e riqualificazione della cessione di beni strumentali: i casi di abuso del diritto L’esclusione ex art. 1, comma 87, lett. a), della L. n. 205/2017 e art. 1, comma 1084, della L n. 245/2018, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale, che ha reso in sostanza illegittimo l’atto di riqualificazione, è applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, prima del 1° gennaio 2018.

In tale ipotesi l’unica disposizione invocabile dal Fisco per far valere l’ipotesi del collegamento negoziale quale manifestazione elusiva e di abuso del diritto è l’art. 10-bis L. n. 212/2000, non applicabile ratione temporis al caso in esame.

L’azione accertatrice, in tal caso, si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.

Non è invocabile, pertanto, l’art. 20 D.P.R. n. 131/86 per la riqualificazione in cessione d’azienda della cessione di tutti i beni strumentali all’esercizio dell’attività produttiva. Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione.

Riqualificazione cessione beni strumentali e liquidazione imposta di registro: il caso all’attenzione della Cassazione Con avviso di liquidazione di imposta di registro relativo ad atti di vendita di macchinari e altri beni strumentali, caratteristici dell’attività di produzione di pasticceria conservata, il fisco ha riqualificato tale vendita come cessione di azienda.

Il giudice di prima istanza ha ritenuto l’insussistenza, nella fattispecie, di un atto di cessione d’azienda.

Il giudice del gravame ha accolto l’appello erariale, confermando la riqualificazione degli atti di vendita di macchinari e altri beni strumentali, caratteristici dell’attività di produzione di pasticceria conservata, come cessione di azienda ai fini dell’imposta di registro.

Il parere della Cassazione: i motivi di accoglimento del ricorso Gli Ermellini, con la citata pronuncia, hanno, nel merito, accolto il ricorso introduttivo della contribuente sulla base delle seguenti articolate argomentazioni.

L’attività riqualificatoria ex art. 20 del T.U.R. non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici.

Ancorché da un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi ceda l’azienda sia la medesima di chi cede tutti i beni strumentali all’attività d’impresa, posto che in entrambi i casi si “monetizza” il complesso di beni aziendali, dal punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse.

Priva di rilievo risulta la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell’operazione in quanto, una volta riconosciuto, che ci si trova di fronte ad un caso di vendita di beni mobili, pur a fronte della cessione di tutti i beni strumentali all’esercizio dell’attività produttiva della cedente, non è richiesta alcuna valutazione circa l’esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l’operazione medesima, per come strutturata, né tantomeno incombe sull’Ufficio alcun onere probatorio al riguardo.

L’esaminata disposizione non richiede invero l’intento elusivo, che può esserci ma non deve necessariamente esserci, sicché il tema d’indagine non consiste nell’accertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime.

L’imposta registro può atteggiarsi come imposta, quando è rapportato, in misura proporzionale, al valore dell’atto registrato (contratto, sentenza, ecc.) a contenuto economico, assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva, e come tassa, quando è dovuto in misura fissa, in tal caso trovando come presupposto e giustificazione la prestazione di un servizio, cioè la registrazione (e conservazione) di un atto; l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario; la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano.

L’art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, c.d. TUR), nella sua attuale formulazione, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro: «secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».

La sottrazione all’imposizione dell’effettiva ricchezza imponibile «rileva sotto il profilo dell’abuso del diritto», ipotesi che richiede la previa instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale, circostanza neppure dedotta nel caso in esame.

Le conclusioni della Cassazione sulla riqualificazione del contratto accertato In tema di imposta di registro, l’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017, cui, ai sensi dell’art. 1, comma 1084, della L. n. 145 del 2018, va riconosciuta efficacia retroattiva (norme ritenute esenti da profili di illegittimità dalla Corte costituzionale, rispettivamente, con sentenze n. 158 del 21 luglio 2020 e n. 39 del 16 marzo 2021), deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo.

In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, è legittima Aggiornarsi, Risolvere, Crescere www.commercialistatelematico.com Christian Coppola | 4 l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto.

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.

Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali.

Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva. Tuttavia il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta, e la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.

In particolare, il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali.

La nuova formulazione dell’articolo 20 citato ha la funzione di confermare la natura dell’imposta di registro come imposta d’atto e, quindi, di ricondurre l’articolo 20 circoscritto agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori. Tuttavia, da un punto di vista operativo, gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria, a prescindere dall’articolo 20, possono contestare eventuali atti finalizzati all’elusione di imposta attraverso le norme previste per l’abuso del diritto (articolo 10-bis, Legge n. 212/00).

Il fisco ex articolo 10-bis, Legge n. 212/00) può configurare il trasferimento di una pluralità di beni per mezzo di un insieme di atti negoziali (“cessione spezzatino”), una vera e propria cessione di azienda soggetta al pagamento dell’imposta di registro e non all’Iva. La c.d. cessione “spezzatino” è attaccabile solo con la disciplina antiabuso.

Entrambi i “percorsi” (cessione del “blocco” e cessione dei singoli beni) sono perfettamente leciti: ma se, cedendo i singoli beni si realizza (con più favorevole tassazione) lo stesso risultato cui si perviene con la cessione del “blocco”, appare improbabile sottrarsi a un giudizio di aver con ciò realizzato «essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (articolo 10-bis, comma 1).

Fonte: Ordinanza Cassazione del 29 settembre 2021, n. 26503

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